Umberto Eco, i social network, il “politicamente corretto”

Umberto Eco, i social network, il “politicamente corretto”

Umberto Eco “I social network hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli”.

Nell’epoca del politically correct, ha destato scalpore la frase pronunciata da Umberto Eco. Eppure, qualcosa di simile, è nei miei pensieri da tempo: oggi, si parla troppo, si parla ovunque, e parla chiunque.

Non trovo, però, sia “colpa” dei social network in particolare, ma, più in generale, dei nuovi sistemi di “comunicazione”. Da quando esistono i salotti televisivi, da quando esistono show dedicati ai dilettanti, e da quando esistono le c.d. trasmissioni “verità” ritagliate su personaggi grotteschi, ignoranti e volgari, che fanno di queste loro caratteristiche una forza, perchè non determinano alcuna “difficoltà” in chi li guarda (Pietro Taricone, riposi in pace, è diventato quasi un attore impegnato, a sentir qualcuno). Il microfono nelle mani di chiunque, per il travisato principio della libertà di espressione. Chiunque canta, chiunque balla, chiunque suona, chiunque parla di politica, chiunque parla di letteratura, chiunque parla di cultura e di costume, chiunque pubblica libri o prende la parola in pubblico, chiunque scrive più di quanto legga. Il senso del limite, e della misura, vanno disperdendosi, e la “tuttologia” diventa malattia diffusa. Con essa, un cancro dell’Italia contemporanea: il “politicamente corretto”. Cambiamo i nomi alle cose, perchè “discriminiamo” se usiamo certe parole. Non diciamo più “mamma e papà” se no discriminiamo le coppie con due papà o due mamme; facciamo leggi per sostituire “sordo” a “sordomuto”; alle trasmissioni sul ballo, vincono persone senza arti inferiori; ci appassioniamo a “scuole d’arte” in cui la più alta espressione è l’insulto al docente, perchè bisogna finirla con questi balordi principi per cui il docente ci rimprovera “solo” perchè ha una cattedra.