Unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze – Una nuova opportunità per le coppie di fatto, in vigore dal 5 giugno 2016

Unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze – Una nuova opportunità per le coppie di fatto, in vigore dal 5 giugno 2016

unioni civili 2
Dopo ampio e lungo dibattito parlamentare e sociale, è stata approvata la Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze (Legge 20 maggio 2016, n. 76), che introduce per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico l’unione civile tra due persone dello stesso sesso.
La legge, in vigore dal 5 giugno 2016, è sicuramente un’importante conquista di libertà, e, senza entrare nel merito delle scelte amicali, sentimentali ed etiche dei cittadini – che sono e devono restare personali – è volta a recepire istanze sociali ormai sentite e insopprimibili.
Per le unioni civili si dovrà attendere, verosimilmente, l’emanazione del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che disciplini la tenuta del Registro nell’Archivio dello Stato Civile.
Le unioni civili tra persone dello stesso sesso
La prima parte della Legge reca la disciplina delle unioni civili dello stesso sesso (art. 1 commi da 1 a 35). L’unione, definita dalla stessa legge quale specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione (art. 1, comma 1), si costituisce tra due persone maggiorenni dello stesso sesso di fronte a un ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni e deve essere registrata nell’archivio dello stato civile (art. 1, secondo e terzo commi). Non è necessario, a differenza di quanto accade per il matrimonio, ricorrere alle pubblicazioni precedenti.
L’art. 1, comma 20, della Legge, al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso prevede espressamente che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti.
Costituiscono impedimenti alla costituzione delle unioni civili, tra persone dello stesso sesso, pena la nullità:
a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un’unione civile tra persone dello stesso sesso;
b) l’interdizione di una delle parti per infermità di mente; se l’istanza d’interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la costituzione dell’unione civile; in tal caso il procedimento non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull’istanza non sia passata in giudicato;
c) la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all’articolo 87, comma, 1 del codice civile; non possono altresì contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87;
d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare, la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento (art. 1, quarto comma).
L’unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata da un documento attestante la costituzione dell’unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l’indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e la residenza dei testimoni (art. 9)
Le parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all’ufficiale di stato civile (art. 10). Per le concrete modalità per rendere le dichiarazioni, occorrerà attendere l’apposito decreto attuativo.
Attraverso la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni (art. 11). Non è previsto, a differenza del matrimonio, il dovere di fedeltà, pertanto, chi si unisce civilmente può legittimamente rendersi infedele nei confronti del proprio partner, salvo che ciò possa ricondursi nell’alveo della responsabilità aquiliana.
Il regime patrimoniale dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, è costituito dalla comunione legale dei beni (art. 13).
Al contempo, con specifico riferimento alle successioni, il comma 21 stabilisce che alle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III (“Delle indegnità”, artt. 463 – 466) e dal capo X (“Dei legittimari”, artt. 536 – 564) del titolo I (“Disposizioni generali sulle successioni”), dal titolo II (“Delle successioni legittime”, artt. 565 – 586) e dal capo II (“Della collazione”, artt. 737 – 751) e dal capo V-bis (“Del patto di famiglia”, artt. 768 bis – 768 octies) del titolo IV (“Della divisione”) del libro secondo (“Disposizioni generali sulle successioni”) del codice civile”.
Pertanto, i soggetti legati da unione civile hanno i diritti di legittima del coniuge, e la  chiamata alla successione – incluse le cause di incapacità o di indegnità – è regolata allo stesso modo della chiamata del coniuge regolarmente coniugato.
Indi, il contraente di unione civile ha diritto alla quota di legittima (art. 540 c.c.), che potrà reclamare in presenza di testamento in favore d’altri, o nel caso in cui l’altro contraente abbia disposto, in vita, con donazioni in favore d’altri, incidendo la quota, e, in assenza di testamento, è chiamato alla successione ex lege in concorrenza con i discendenti dell’altro contraente, o, in assenza di essi, con i genitori o altri ascendenti, fratelli e sorelle.
Altri effetti riguardano le questioni di stato:
– nella scelta dell’amministratore di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, la parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso;
– l’interdizione o l’inabilitazione possono essere promosse anche dalla parte dell’unione civile, la quale può presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa.
La prescrizione rimane sospesa tra le parti dell’unione civile (art. 1 comma 18)
Quanto alle cause di scioglimento, l’unione civile si scioglie in caso di eventi sopravvenuti che rendono impossibile la prosecuzione del vincolo familiare: la morte, dichiarazione di morte presunta di uno degli uniti (comma 22) e la rettificazione di attribuzione del sesso (comma 26). In quest’ultimo caso, non è previsto un meccanismo per conservare il rapporto familiare passando al matrimonio; per il caso di rettifica di sesso di soggetti coniugati, invece, la coppia può conservare il rapporto familiare passando all’unione civile.
Sussistono poi cause di scioglimento non automatiche, su istanza dell’unito: il verificarsi delle cause si cui all’art. 3, n. 1) e n. 2) lett. a), c), d) ed e) della L. 10 dicembre 1970, n. 898, ossia:
– le cause legali di divorzio;
– lo scioglimento consensuale, manifestato anche disgiuntamente dinanzi all’ufficiale di stato civile: in tal caso la domanda di scioglimento dell’unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione.
La domanda può essere presentata innanzi al Tribunale Ordinario: lo scioglimento dell’unione civile è pronunciato dal Tribunale, su domanda congiunta degli uniti o all’esito di procedimento contenzioso. Alternativamente, lo scioglimento dell’unione civile consegue all’accordo degli uniti perfezionato davanti all’ufficiale dello Stato Civile, ai sensi dell’art. 12 d.l. 132/2014 (conv. in l. 162/2014), ovvero in sede di negoziazione assistita, ai sensi dell’art. 6 d.l. 132/2014 (conv. in l. 162/2014).
La disciplina delle convivenze
La seconda parte della legge, contenuta nei commi da 36 a 65, disciplina la convivenza – distinta indi da quella instaurata tra due soggetti in sede di unione civile – anche tra persone eterosessuali, definita come quella tra due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (art. 1, trentaseiesimo comma).
Come recita il comma 37, ferma restando la sussistenza dei suddetti presupposti, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui al d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223.
A questo punto, possono profilarsi due possibili interpretazioni: 1) i conviventi devono ufficializzare la loro convivenza attraverso una «dichiarazione anagrafica» e la sua successiva registrazione nei registri anagrafici; 2) la nozione di “convivenza di fatto” (art. 1 comma 36) non prevede, quale elemento costitutivo, la dichiarazione anagrafica in quanto  un elemento “formale” contrasterebbe con la natura stessa di questa forma familiare che è, appunto, «di fatto».
I diritti ex lege prescindono, dunque, dall’elemento anagrafico.
La legge 76/2016 prevede i seguenti diritti dei conviventi:
– i conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario;
– in caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari;
– ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie;
– salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Si evidenzia importante differenza rispetto al contraente di unione civile, il quale ha il diritto di abitazione della casa familiare e di uso dei mobili che la corredano, ai sensi dell’art. 540, comma 2, c.c.;
– nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto;
– nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto;
– al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonchè agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato (art. 230 bisc.);
– in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell’individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.
– il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l’altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all’articolo 404 del codice civile.
I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza, redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un Notaio o da un Avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico (art. 1, comma 51).
Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica, o ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51, deve trasmetterlo al Comune di residenza della coppia, entro dieci giorni, per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli artt. 5 e 7 del Regolamento di cui al d.P.R. 30 maggio 1989 n. 223.  A tal fine, la Circolare del Ministero dell’Interno del 1 giugno 2016 detta criteri che gli uffici dovranno seguire: il contratto dovrà essere registrato sia nella scheda di famiglia dei conviventi, sia nelle loro schede personali anagrafiche. Anche la successiva risoluzione o modifica del contratto dovrà essere registrata con l’indicazione della data e del luogo della risoluzione , ma anche della causa e degli estremi della modifica.
Il contratto può contenere: l’indicazione della residenza, le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo, il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro I del Codice Civile (art. 1, comma 60).  Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento.
Possiamo agevolmente sottolineare le differenze, circa il regime patrimoniale, tra unione civile e matrimonio da un lato, e coppie di conviventi (c.d. coppie di fatto) dall’altro:
– nel matrimonio e nell’unione civile, si instaura automaticamente il regime della comunione legale; se la coppia unita in matrimonio o in unione civile intende evitare il regime della comunione, deve stipulare apposita convenzione di separazione, di comunione convenzionale e di fondo patrimoniale;
– nel caso delle coppie di fatto, invece, non si instaura alcun regime patrimoniale: i conviventi possono liberamente intervenire sul regime patrimoniale del rapporto, stabilendo le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale e casalingo (comma 53 lettera b).
In primo piano, si pone l’impegno reciproco di contribuire alle necessità della vita comune mediante la corresponsione (periodicamente o una tantum) di somme di denaro, ovvero tramite la messa disposizione di propri beni o della propria attività lavorativa, eventualmente anche solo domestica. L’impegno dovrebbe fissare altresì misura e modalità della contribuzione di ciascuno. Si potrebbero eventualmente anche prevedere cause di giustificazione per il mancato adempimento dell’obbligo contributivo, come ad esempio nel caso in cui una delle due parti dovesse trovarsi senza sua colpa nell’impossibilità di ricevere reddito (si pensi al licenziamento).
La contribuzione potrà esplicarsi non solo tramite la partecipazione alle spese della convivenza, bensì anche (in tutto o in parte) mettendo a disposizione il proprio contributo lavorativo domestico piuttosto che uno o più locali idonei ad ospitare la vita di coppia, quali la residenza principale o quella per le vacanze.
Una delle questioni più dibattute è se l’accordo alla contribuzione possa derogare rispetto ai criteri di proporzionalità di cui all’espressione in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale e casalingo (art. 1, comma 53 lettera b).
Si rammenta che detta locuzione ripropone quanto disposto dall’art. 143 codice civile per i coniugi e dall’art. 1, comma 11 della legge  76/2016 per i partners di un’unione civile omosessuale.
In realtà l’inderogabilità alla regola della proporzionalità, è sancita dall’art. 160 del Codice Civile solo per i coniugi e dal comma 13 (Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto dell’unione civile) della legge 76/2016  solo per i partners di un’unione civile omosessuale.
Poiché, pertanto, la legge tace in relazione ai soggetti del contratto di convivenza, è lecito supporre che i conviventi di fatto possano regolare liberamente quantità e modalità di contribuzione anche eventualmente a prescindere dal criterio della proporzionalità.
E’ questa senz’altro una differenza non di poco momento tra il regime patrimoniale previsto per le coppie di fatto e quello previsto per il matrimonio e per l’unione civile.
Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione.
La nullità (insanabile) del contratto di convivenza, che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, si verifica, se concluso:
a) in presenza di precedente vincolo matrimoniale, unione civile o altro contratto di convivenza;
b) in violazione dell’art. 1 comma 36 (indi se contratto da persone che non hanno conseguito la maggiore età, se contratto da persone vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile, o se contratto da più di due persone).
c) da persona interdetta giudizialmente;
d) in caso di condanna per il delitto di cui all’articolo 88 del codice civile (art. 88 c.c.: non possono contrarre matrimonio tra loro persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra).
Il contratto di convivenza si risolve per accordo delle parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona, morte di uno dei contraenti (art. 1, comma 59).
Se la risoluzione avviene per recesso unilaterale o accordo delle parti, essa deve rispettare con i medesimi oneri formali previsti, dal comma 51 dell’art. 1, per la conclusione del contratto di convivenza. Nel caso di recesso unilaterale, inoltre, il professionista che riceve o che autentica l’atto è tenuto a notificare copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto.
La risoluzione del contratto di convivenza determina lo scioglimento della comunione dei beni.
Di notevole importanza è il ruolo del Notaio in quanto, coessenziale all’intervento notarile, è l’indagine della volontà delle parti. Non solo, dunque, verifica di conformità alla legge e di non violazione delle norme imperative, ma indagine in concreto della volontà espressa dai contraenti, al fine di rivestire i patti di forma giuridica compiuta ed evitare, nello svolgimento del rapporto o in caso di sua crisi, la nascita di contrasti interpretativi da risolvere in giudizio.
Inoltre, come dispone la stessa legge, resta in ogni caso ferma la competenza del Notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza (art. 1, comma 60).
Pertanto, sia nella fase di conclusione che di scioglimento di accordi di convivenza, ove le parti prevedano trasferimenti immobiliari, è necessario l’intervento del Notaio.
Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.
In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. Gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza. Ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati, l’obbligo alimentare del convivente è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle.
Inerentemente ai diritti successori, abbiamo visto sopra (punti 4) e 5)) i  diritti del convivente in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza e per il caso di morte del conduttore.
Al convivente la legge non riconosce alcuna quota di legittima, né, in assenza di testamento, la chiamata alla successione ex lege.
Il testamento è l’unico strumento a disposizione del convivente per poter attribuire diritti successori al proprio partner. In mancanza quindi di un testamento, il convivente non potrà vantare alcun diritto sui beni caduti in successione, che si devolveranno a favore dei parenti del defunto sino al sesto grado.
La disciplina è intervenuta anche sulla legge di diritto internazionale privato: dopo l’articolo 30 della Legge 31 maggio 1995, n. 218, è stato inserito il seguente: Art. 30-bis. (Contratti di convivenza). 1. Ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata. 2. Sono fatte salve le norme nazionali, internazionali ed europee che regolano il caso di cittadinanza plurima.